NESSO CAUSALE TRA SUPERLAVORO E INFARTO

La Cassazione, con la sentenza n. 9945, che si riporta per esteso, ha stabilito un nesso di concausalità tra le undici ore di superlavoro che il dipendente di una società di telecomunicazioni si sobbarcava e l’infarto che lo aveva portato alla morte.

L’impresa si era opposta alla richiesta di risarcimento avanzata dalla moglie e dalla figlia del deceduto, quantificata dai giudici di appello in 800mila euro. Secondo il datore di lavoro l’attività, svolta anche a casa, era il risultato dello stacanovismo del dipendente e della sua dedizione al lavoro non certo dagli impegni gravosi imposti dall’azienda. Anzi la società non era neppure a conoscenza delle modalità di lavoro del suo dipendente che, peraltro, non si era mai lamentato né aveva manifestato disagi fisici.

La Cassazione però, allineandosi ai giudici d’appello, ricorda che la responsabilità del modello organizzativo e della distribuzione del lavoro è comunque sempre in capo all’azienda che non può sottrarsi agli addebiti che possono derivare dagli effetti lesivi di una inadeguata scansione dei tempi di attività e ha dichiarato il nesso tra l’infarto e l’impegno lavorativo oltre i limiti della tollerabilità.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

SENTENZA  8 MAGGIO 2014, N. 9945

 

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Roma, I.F. agiva, in proprio e nella qualitàdi esercente la potestàsulla figlia minore S.A. , per ottenere la condanna della soc. Ericsson Telecomunicazioni, quale responsabile ai sensi dellart. 2087 cod. civ., al risarcimento dei danni patrimoniali e morali derivanti dal decesso del congiunto S.S. , avvenuto per infarto del miocardio.
A sostegno della domanda deduceva che il coniuge, svolgendo mansioni di quadro, si era trovato ad operare, negli ultimi mesi del suo rapporto di lavoro, in condizioni di straordinario aggravio fisico: lattivitàlavorativa si era intensificata fino a raggiungere ritmi insostenibili; limpegno lavorativo era stato continuativo secondo una media di circa undici ore giornaliere e aveva comportato il protrarsi dellattivitàa casa e fino a tarda sera; gli svariati e complessi progetti erano stati affidati alla gestione diretta dello S. senza affiancamento di collaboratori.
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 24 maggio 2011, riformando la pronuncia di primo grado, accoglieva la domanda e condannava la soc. Ericsson Telecomunicazioni al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di Euro 434.137,00 in favore di I.F. e della somma di Euro 425.412,00 in favore di S.A. , oltre accessori, osservando che le allegazioni di parte ricorrente erano risultate comprovate in giudizio e che, secondo le condivisibili conclusioni del C.t.u. medico-legale nominato in corso di giudizio, linfarto era correlabile, in via concausale, con indice di probabilitàdi alto grado, alle trascorse vicende lavorative. In accoglimento della domanda di garanzia svolta dalla societàconvenuta, dichiarava lobbligo della societàMilano Assicurazioni di tenere indenne la Ericsson Telecomunicazioni per limporto complessivo di Euro 309.874,00, oltre accessori.
Per la cassazione di tale sentenza la soc. Ericsson Telecomunicazioni propone ricorso sulla base di sei motivi, cui resistono con controricorso le eredi S. .
La soc. Milano Assicurazioni aderisce ai primi cinque motivi del ricorso principale e resiste al sesto motivo, proponendo a sua volta ricorso incidentale nei confronti della Ericsson Telecomunicazioni, che resiste con controricorso.
Avverso tale ricorso incidentale anche le eredi S. resistono con controricorso.
Hanno depositato memorie difensive ex art. 378 cod. proc. civ. la ricorrente principale e la ricorrente incidentale, nonché I.F.

 

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso principale, la soc. Ericsson Telecomunicazioni denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 116 cod. proc. civ. e 2087 cod. civ., nonché vizio di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) anche per omessa valutazione di alcuni punti decisivi della controversia, svolgendo le seguenti censure:
- se i ritmi di lavoro erano “serratissimi” e limpegno lavorativo si estendeva sempre al di làdel limite ordinario, come ritenuto dalla Corte di appello, ciò non era imputabile alla societàdatrice di lavoro, ma dipendeva dalla attitudine dello S. a sostenere e a lavorare con grande impegno e al suo coinvolgimento intellettuale ed emotivo nella realizzazione degli obiettivi;
- lAzienda non era a conoscenza della modalitàattraverso le quali la S. esplicava la sua attivitàlavorativa, né il dipendente aveva mai espresso doglianze o manifestato disagi fisici;
- era privo di riscontro probatorio che lAzienda avesse imposto losservanza di ritmi insostenibili o fissato tempi di consegna dei progetti o sollecitato la definizione dei lavori in corso.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha osservato, con motivazione logicamente argomentata e giuridicamente corretta, che la responsabilitàdel modello organizzativo e della distribuzione del lavoro fa carico alla società, la quale non può sottrarsi agli addebiti per gli effetti lesivi della integritàfisica e morale dei lavoratori che possano derivare dalla inadeguatezza del modello adducendo lassenza di doglianze mosse dai dipendenti o, addirittura, sostenendo di ignorare le particolari condizioni di lavoro in cui le mansioni affidate ai lavoratori vengono in concreto svolte; deve infatti presumersi, salvo prova contraria, la conoscenza, in capo allazienda, delle modalitàattraverso le quali ciascun dipendente svolge il proprio lavoro, in quanto espressione ed attuazione concreta dellassetto organizzativo adottato dallimprenditore con le proprie direttive e disposizioni interne.
Nella ricostruzione fattuale compiuta dal giudice di merito, incensurabile in questa sede in quanto congruamente motivata ed immune da vizi logici, è emerso che lo S. , per evadere il proprio lavoro, era costretto, ancorché non per sollecitazione diretta, a conformare i propri ritmi di lavoro allesigenza di realizzare lo smaltimento nei tempi richiesti dalla natura e molteplicitàdegli incarichi affidatigli dalla soc. Ericsson Telecomunicazioni.
Dallaccertamento compiuto dal giudice di merito è emerso che loggettiva gravositàe lesorbitanza dai limiti della normale tollerabilitànon era in alcun modo riconducibile a iniziative volontarie dello S. di addossarsi compiti non richiesti o di svolgere gli incarichi con modalitànon coerenti con la natura e loggetto degli stessi.
Come ribadito anche di recente da questa Corte (Cass. 3.8 2012 n. 13956, nonché Cass. 8.10.2012 n. 17092 e n. 18626 del 2013), la responsabilitàdellimprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare lintegritàfisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, quando queste non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui allart. 2087 cod. civ., la quale impone allimprenditore lobbligo di adottare nellesercizio dellimpresa tutte quelle misure che, secondo la particolaritàdel lavoro in concreto svolto dai dipendenti, si rendano necessarie a tutelare lintegritàfisica dei lavoratori (v. fra le altre Cass. n. 6377 e n. 16645 del 2003).
Se è vero che lart. 2087 cod. civ. non configura unipotesi di responsabilitàoggettiva e che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dellattivitàlavorativa svolta, un danno alla salute, lonere di provare lesistenza di tale danno, come pure la nocivitàdellambiente o delle condizioni di lavoro, nonché il nesso tra luno e laltro, è altresì vero che, ove il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze, sussiste per il datore di lavoro lonere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 2038 del 2013).
I presupposti di fatto che integrano la prova gravante sul prestatore di lavoro sono risultati tutti positivamente accertati nella fattispecie in esame, alla stregua delle risultanze della prova testimoniale vagliata dal giudice di appello e dellindagine medico-legale disposta dufficio, a fronte delle quali non è stata fornita dalla societàla prova liberatoria.
Priva di fondamento logico, oltre che giuridico, in ragione del precetto di cui allart. 2104 cod. civ., è laffermazione dellodierna ricorrente secondo cui, se il ritmo di lavoro era elevato, ciò dipendeva dalla attitudine dello S. a lavorare con grande impegno e alla sua dedizione al lavoro. Non può non rilevarsi come gli effetti della conformazione della condotta lavorativa ai canoni di cui allart. 2104 cod. civ., coerentemente con il livello di responsabilitàproprio delle funzioni e in ragione del soddisfacimento delle ragioni dellimpresa, non integrino mai una colpa del lavoratore.
Quanto allulteriore assunto secondo cui la ritenuta ipotetica esorbitanza dal carico esigibile costituirebbe un accertamento “non coerente con le direttive impartite”, deve rilevarsi che non vi è alcun cenno in sentenza a tale argomento difensivo di parte convenuta, che deve quindi considerarsi un novum, inammissibile nella presente sede. Né è stata denunciata lomessa considerazione della prospettata circostanza quale fatto determinante trascurato dal giudice di merito.
Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 194 e 201 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), disposizioni che sanciscono il diritto dei Consulenti tecnici di parte di assistere alle operazioni peritali. Sostiene parte ricorrente che, dopo un primo incontro meramente conoscitivo, il C.t.u. dispose un rinvio a data da destinarsi per leffettivo inizio delle operazioni peritali alla doverosa presenza dei periti di parte, senza che a tale preannuncio avesse fatto seguito una successiva convocazione, e che il vizio venne sollevato tempestivamente dalla difesa in sede di note critiche depositate per ludienza del 20 aprile 2010.
Il motivo è palesemente infondato.
Come risulta dalla sentenza impugnata, le operazioni di consulenza ebbero inizio il 29.1.2009 alla presenza dei consulenti di parte e in tale sede si procedette all’”esame della documentazione” e alla “discussione del caso in esame”; dopo lo svolgimento di tali operazioni, durante il quale furono “definite le questioni e gli elementi di indagine”, non si pose la necessitàdi ulteriori accertamenti e chiarimenti o della acquisizione di atti, implicanti lobbligo di un contraddittorio dal punto di vista tecnico; la Corte di appello ha dunque concluso che non erano ravvisabili “secondo le regole del processo, ulteriori oneri di convocazione a carico del C.t.u…..”.
Quello che parte ricorrente assume essere solo un “primo incontro conoscitivo” costituiva momento di inizio delle operazioni peritali e non un mero antefatto, essendosi in tale sede proceduto alla discussione del caso e allesame congiunto della documentazione. Nessun ulteriore obbligo di convocazione gravava sul C.t.u., dovendo la consulenza svolgersi sulla base degli atti vagliati alla presenza dei difensori, mentre la mera stesura della relazione peritale è, allevidenza, operazione che il Consulente compie autonomamente.


Con il terzo motivo si censura la sentenza per avere recepito le conclusioni della relazione peritale – in punto di nesso causale tra attivitàlavorativa e manifestazione dellinfarto letale – sulla base di una mera possibilitàscientifica, così violando gli artt. 40 e 41 cod. pen.., oltre che gli artt. 1223 e 2043 cod. civ., e art. 116 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) ed incorrendo in vizio di motivazione per avere trascurato di considerare che linfarto ebbe inizio nella giornata di lunedì, mentre lo S. si trovava in una localitàmarina, e solo nelle prime ore del giorno seguente, quanto si portò sul luogo di lavoro, venne colto da malore risultato fatale.
Il motivo è inammissibile.
Premesso che il nesso causale è stato ritenuto sussistente dal giudice di appello sulla base di “un indice di probabilitàdi alto grado, marcata o qualificata” e quindi ben oltre il livello della mera possibilitàteorica, il motivo sollecita, per il resto, una rivisitazione del merito della controversia, inammissibile in questa sede. Propone, infatti, una diversa interpretazione della derivazione causale dellevento senza contestare la relazione peritale, recepita per relationem nella sentenza impugnata, della quale non si denunciano specifici vizi afferenti alla valutazione medico-legale del caso esaminato.
Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 2056 cod. civ., degli artt. 1223, 1226, 1227 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), nonché vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) per essere stato riconosciuto il danno patrimoniale differenziale (al netto della rendita INAIL) omettendo di detrarre sia la parte di reddito che, sebbene conferita alla gestione familiare, sarebbe stata utilizzata per soddisfare i consumi della medesima vittima, sia la c.d. “quota sibi”, ossia quella parte del reddito che il coniuge deceduto avrebbe speso per sé senza farla transitare nella comunione familiare; inoltre, si sarebbe dovuto calcolare il risarcimento tenendo conto del reddito netto del defunto e non di quello lordo.
Al riguardo, deve osservarsi che la determinazione del danno patrimoniale è stata effettuata dal giudice di merito mediante liquidazione equitativa, in misura pari al 60% della somma originariamente pretesa dalla parte ricorrente. Il ricorso a tale criterio, per la liquidazione del danno patrimoniale, non ha formato oggetto di censura, essendo il motivo incentrato sulla contestazione di alcune componenti che – si assume – sarebbero incluse nella somma riconosciuta e non dovrebbero esserlo. Tuttavia, poiché la liquidazione equitativa non rende evidente, né controllabile liter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione e non permette dunque di stabilire se siano state o meno incluse nel risarcimento le componenti delle quali si deduce lerronea considerazione, il motivo si presenta, per tale ragione, inammissibile.
Con il quinto motivo si lamenta lerronea liquidazione del danno da perdita parentale, in violazione degli artt. 2059 cod. civ., degli artt. 1223, 1226 e 1227 cod. civ. e vizio di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) per avere la Corte di appello, nellutilizzo delle tabelle di liquidazione elaborate dal Tribunale di Roma per il calcolo del danno non patrimoniale da perdita parentale aggiornato allanno 2011, riconosciuto a S.A. 31 punti e I.F. 32 punti, con un eccesso di due punti per ciascuna delle eredi.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo stata richiamata la sede in cui la tabelle del Tribunale di Roma furono prodotte in giudizio, né le stesse risultano allegate al ricorso. È principio costante nella giurisprudenza di questa Corte che le tabelle di liquidazione del danno biologico non costituiscono norme di diritto, né rientrano nella nozione di fatto di comune esperienza, di cui allart. 115 cod. proc. civ., e che, pertanto, la parte che in sede di legittimitàlamenti il vizio di motivazione della sentenza – consistente nellincongrua applicazione delle tabelle – non può limitarsi ad una generica denuncia del vizio relativamente al valore del punto preso in considerazione, ma deve dare conto delle tabelle invocate, indicando in quale atto sono state prodotte e in quale senso sono state disapplicate o incongruamente applicate dal giudice di merito (Cass. n. 13130 del 2006, n. 22287 del 2009).
Il sesto motivo denuncia violazione di legge in relazione allart. 1370 cod. civ., art. 12 prel., artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1367 e 1369 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) e vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) per avere il giudice di appello errato nel limitare la garanzia della Milano Assicurazioni al solo danno patrimoniale di cui agli artt. 10 e 11 d.P.R. n. 1124/65, mentre avrebbe dovuto dichiarare indenne la Ericsson Telecomunicazioni da tutto quanto dalla stessa dovuto a parte attrice quale civilmente responsabile a titolo di risarcimento dei danni e così anche per i danni non rientranti nella disciplina di cui al richiamato d.P.R.; in particolare, la Corte di appello aveva omesso di considerare che nellart. 6 delle condizioni di polizza le parti avevano espressamente previsto una estensione della polizza a tali danni.
Anche tale motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha riferito, quanto allestensione della garanzia assicurativa, che lart. 13 del contratto prevedeva la copertura assicurativa per quanto lassicurato fosse tenuto a pagare quale civilmente responsabile, ai sensi degli artt. 10 e 11 d.p.r. n. 1124/65 per gli infortuni, escluse le malattie professionali, sofferti da prestatori di lavoro da lui dipendenti; ha poi riferito di una estensione per le malattie professionali.
Poiché il motivo attiene ad una presunta violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, vertendo la censura sullinterpretazione del testo del contratto di assicurazione, e non è specificamente indicato in quale modo sarebbero stati violati detti canoni, il ricorso è inammissibile per tale assorbente ragione.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la soc. Milano Assicurazioni lamenta violazione di legge in relazione allart. 2909 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) e vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) per errata quantificazione del danno patrimoniale differenziale, effettuata senza debitamente considerare che il quantum della rendita dovuta dallINAIL aveva giàformato oggetto di accertamento in altro giudizio, con sentenza passata in giudicato.
Il motivo è inammissibile, non essendo stato allegato come (e quando) la questione sarebbe stata introdotta in giudizio dalla soc. Milano Assicurazioni, limitandosi la parte ad affermare che il quantum della rendita dovuta dallINAIL aveva “giàformato oggetto di accertamento da parte del Tribunale di Roma il quale, in contraddittorio con lINAIL, ha emesso la sentenza n. 22326/2003 (doc. A di parte attrice) ormai passata in giudicato”.
La censura muove dallassunto che il giudice di appello, nel procedere alla liquidazione equitativa, avrebbe omesso di considerare che lesatto ammontare della rendita INAIL era conoscibile alla stregua del giudicato formatosi sul punto in altro giudizio, ma ciò presuppone la debita allegazione (da parte della Milano Assicurazioni) della formazione del giudicato esterno (sullammontare della rendita) in un momento comunque utile ai fini del suo apprezzamento in sede decisoria da parte del giudice di appello.
Il ricorso è totalmente carente al riguardo.
Il secondo motivo del ricorso incidentale della Societàassicuratrice lamenta la violazione dellart. 1911 cod. civ. e vizio di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) per avere la sentenza ritenuto la Milano Assicurazioni s.p.a. obbligata per lintero al pagamento dellobbligazione di garanzia prevista dalla polizza, anziché nella misura del 50%, pari alla quota del rischio dalla stessa assicurato. Si deduce, in particolare, che la garanzia per la responsabilitàcivile verso i prestatori di lavoro era stata stipulata dalla societàin regime di coassicurazione, ex art. 1911 cod. civ., con Assitalia – La Assicurazioni dItalia s.p.a., con una ripartizione del 50% del rischio assicurato. Nella coassicurazione si costituiscono separati rapporti fra i vari coassicuratori, ciascuno dei quali senza vincolo di solidarietàcon gli altri, per cui ciascuno è titolare delle sole posizioni soggettive, sostanziali e processuali, relative al proprio rapporto.
La sentenza sarebbe dunque errata nella parte in cui aveva ritenuto la soc. Milano Assicurazioni obbligata anche per la parte eccedente la quota del 50%.
Anche tale motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha affermato che la soc. Milano Ass.ni aveva assunto, nella stipulazione del contratto e nella gestione del rapporto assicurativo, il ruolo e le obbligazioni che fanno carico al contraente e che rispondeva per intero, nei confronti della Ericsson Telecomunicazioni s.p.a., della garanzia assicurativa prestata. Ha dunque proceduto allinterpretazione del testo del contratto di assicurazione per trame tale conclusione.
La diversa lettura propugnata dalla soc. Milano Ass.ni presuppone la specifica denuncia della violazione dei canoni di ermeneutica di cui agli artt. 1362 e segg. cod. civ., restando altrimenti inammissibile. Parte ricorrente non svolge alcun motivo al riguardo, prescindendo completamente dallinterpretazione che del contratto aveva fornito la sentenza impugnata.
A ciò aggiungasi che il ricorso non rispetta il principio di autosufficienza, poiché la ricorrente trascrive bensì la clausola contrattuale invocata, ma non permette il controllo del contenuto poiché non produce ora il contratto né indica la sede processuale della produzione.
In conclusione vanno respinti tanto il ricorso principale quanto quello incidentale. Le spese, liquidate come da dispositivo, sono poste a carico di ciascuna delle societàricorrenti in favore delle eredi S. .
Nei rapporti tra la ricorrente principale e la ricorrente incidentale le spese sono compensate in ragione della reciproca soccombenza (sesto motivo del ricorso principale e secondo motivo di quello incidentale). Nei confronti dellInail – che non ha svolto attivitàdifensiva – la notificazione dellimpugnazione e la sua conoscenza hanno assolto alla sola funzione di litis denuntiatio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; condanna la soc. Ericsson Telecomunicazioni e la soc. Milano Assicurazioni, ciascuna, al pagamento, in favore di I.F. , in proprio e nella qualitàdi esercente la potestàgenitoriale sulla figlia minore S.A. , delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi professionali e in Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge; compensa le spese tra le altre parti.

 

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